Leggevo con interesse un doppio articolo dell’Internazionale in cui alcune giornaliste discutono sul perchè le donne che riescono a far carriera non arrivano mai veramente ai vertici delle organizzazioni.
E’ un tema caro a molti ed a molte questo, un po’ perchè oggettivamente si tratta dell’analisi di un fenomeno evidente dei nostri giorni ed un po’ perchè permette facilmente di ritirare fuori antichi luoghi comuni, pregiudizi, femminismo, maschilismo e polemica.
Ora io sono una donna e non sento di aver fatto carriera.
In questo momento sto andando a Milano per partecipare ad un management meeting, ma non direi assolutamente di aver fatto carriera. Sarò l’unica donna in una riunione di soli uomini, farò spallucce alle battute un po’ grevi di uno dei capi sulle colleghe (modo più efficace per uscirne viva, dopo aver provato tutti gli altri atteggiamenti), ma il punto centrare è che dovrò mettere il doppio dell’impegno e della concentrazione dell’ultimo dei miei colleghi per sembrare non dico mica più intelligente, ma almeno in linea con lui. E questo non significa aver fatto carriera.
All’atto pratico sono stimata, ma respiro quotidianamente che questa stima ha le fondamenta di sabbia e se non la cemento di giorno in giorno so che può crollare molto velocemente.
Ricordo ancora quando, qualche anno fa, uscendo da una riunione a mezzanotte (e dico mezzanotte siniore et siniori) il capo del mio capo di quella volta mi disse: “Lei deve andare? Ha il marito a casa?”, cosa che mi fece incazzare da morire, perchè mi dette la chiara impressione che, non bastava smentire i pregiudizi con una vita dedicata totalmente al lavoro: la sensazione che una donna ha dei vincoli familiari che la limitano non si lava via neppure con l’evidenza.
C’è sicuramente da dire che alcune donne che fanno carriera seriamente spesso scimmiottano dei modelli non propri e diventano più realiste del re, come spietatezza o ottusaggine, quasi come se l’espressione di una forma di intelligenza alternativa rispetto a quella quella maschile in alcune posizioni non sia più un valore da integrare, ma solo una dimostrazione di debolezza.
Uno dei due articoli dell’Internazionale puntava il dito sul fatto che l’insicurezza intrinseca che ha la maggior parte delle donne sia il principale agente di sabotaggio delle donne stesse nel fare carriera. L’altro, invece, puntava il dito sull’ambiente che, nella maggior parte dei casi, trasmette ancora dei messaggi diversi agli uomini ed alle donne, rispetto alle aspettative che la società ha verso di loro. Detto che sto generalizzando, penso che il fatto dell’insicurezza sia solo una provocazione, anche perchè ho visto decine di donne capacissime escluse di processi di selezione “perchè meglio di no” (vittima illustre anche io, probabilmente, qualche mese fa). Sicuramente, però, vedo che le donne in alcuni casi non premono l’acceleratore come saprebbero e come potrebbero nel momento opportuno non tanto per insicurezza, ma probabilmente per necessità.
In una società come la nostra in cui, faccio un solo esempio tra tanti, il mio asilo nido chiude il 30 giugno ed il Comune di Roma fino ad oggi non ha ancora comunicato se e quali asili nido provvisori aprirà per il mese di luglio, ditemi se le donne si autosabotano per insicurezza o se dovremmo parlare più seriamente di fattore esterno.
E ora scusatemi, ho appena visto (non senza emozione) che il mio Comune mi parla: vado a fare un attimo il sudoku per capire che mi vuole dire, vuoi vedere che è un messaggio d’amore…
Ma per sapere cosa ti voleva dire il Comune tocca aspettare il post successivo???
conoscendo il comune di Roma non mi farei illusioni ma spero di sbagliare! e auguri (non tanto per la carriera quanto per il meeting in mezzo a un gruppetto di uomini in gita scolastica… sanno essere veramente imbarazzanti!)
Tu sei brava.
L’insicurezza frena la crescita sia di uomini sia di donne. Non condivido tutta l’analisi, non mi sembrerebbe assurda fatta a ruoli invertiti.
Tu sei brava, ricordatelo.
Ecco. Scatta l’ora X per me….e….
No vabbè, mi trattengo dal riferire cosa avrei risposto al tizio per decenza e pudore (il senso era “suvvia non sia invidioso se a me preme adesso andare a fare felice mio marito sotto le coperte mentre lei probabilmente non sgomita per tornare dal suo sedano avvizzito”).
Però sappiate che ormai i miei freni inibitori sono out of order.
Tanto mica devo fare carriera no? 😉
Il tema è complesso e non vorrei parlarne con superficialità. L’altra sera al telegiornale si parlava del pericolo di default dell’Argentina ed il servizio mostrava l’intervento del Capo del Governo: una donna. Io pensai quando vedremo una cosa del genere in Italia. Dico questo perché nel discorso generale bisogna anche tener presente che l’Italia è sicuramente un paese arretrato rispetto alla situazione internazionale riguardo le pari opportunità. La discriminazione della donna è certamente un fatto oggettivo ma nelle occupazioni la situazione è diversa per settore. Tu in una riunione di lavoro in azienda privata ti sei trovata in minoranza, a me è capitato invece in riunioni nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia o dell’Istruzione di essere in minoranza come uomo, forse nelle carriere a cui si accede per concorso le donne risultano non minoritarie mentre lo sono dove si accede per selezione personale. Per quanto poi concerne le relazioni interpersonali il discorso è ancora più complicato perché lì si innestano le questioni culturali che progrediscono con maggiore lentezza. Riguardo al commento del collega penso che non faccia testo nel discorso, l’ambiente di lavoro è un ambiente di competizione in cui si usa qualunque arma per ostacolarsi e verso una donna le armi sono quelle della discriminazione o del sessismo, se tu fossi stato maschio il tuo collega avrebbe usato altri argomenti per metterti in difficoltà ma comunque non avresti trovato solidarietà.
ho letto l’altra sera l’articolo di internazionale. confesso che mi ha un po’ fatto storcere il naso. se da un lato credo che delle belle intuizioni ci siano, dall’altro per me è il perfetto esempio di come riportare in maniera ambigua i risultati di una (presunta) indagine sociologica ed antropologica: ho l’impressione che si scambi la condizione imposta con la causa, e questo secondo me non è bene. mi ero comunque ripromesso di informarmi meglio sullo studio, prima di trarre conclusioni affrettate.
detto questo: mannaggia, vieni a milano e non ti fai sentire nemmeno per un caffè?!?! umpf. reputami offeso. 😉
credo che noi donne in Italia siamo viste come donne che vorrebbero ma…. “Ndo state andando che vi piange il picciulillo a casa???” non è un pensiero solo degli uomini, ma soprattutto anche di gente anchilosata a pensieri retrogradi tipici del feudalesimo medievale. Una volta mi son sentita dire:” E beh, dai, se non trovi lavoro impari a cucinare e a fare la donna di casa, non fa niente!” ora. per quanto questa persona sia una donna dolce e a cui le voglio bene, avrei voluto rispondergli un bel “vaffanberga” visto che se avessi voluto fare la casalinga avrei evitato 5 anni di studio. Da che pulpito viene la predica, mi son detta. E c’ho lasciato stare, perchè chi cresce con la convinzione che la donna sia completa quando è dedita alla casa, al marito e ai figli, si sbaglia. Una donna è completa quando è lei a sentirsi tale. Forse per questa donna essere completa significava avere figli a cui dedicare la vita e servire un marito. Io sinceramente vorrei di più.
All’ultimo colloquio di lavoro, il genio del direttore del personale mi ha chiesto se avevo figli, e spiegagli tu in modo credibile che “ancora no per un po, mi dedico ad altro”. L’ideale è dire che li hai già e che sono adolescenti, anzi all’università. Che sei sterile non va bene neanche quello, visto che magari ti viene il guizzo di adottare.
Insomma fanqulo.
…dillo a me che dopo essere stata licenziata con una bimba di pochi mesi non ho avuto più accesso al nido (fuori graduatoria per non avere il punteggio vista la disoccupazione). La carriera????
“Se la vita fosse una lunga scuola elementare, le donne sarebbero le sovrane indiscusse del mondo. Ma a un certo punto, tra l’aula scolastica e la scrivania dell’ufficio, le regole cambiano e loro non se ne accorgono. Si scontrano con un mondo del lavoro che non premia l’ortografia impeccabile e le buone maniere. I requisiti per il successo adulto sono diversi.” Parole sante in questo articolo!
Grazie turinvsrome.
Hai ragione anche tu. La vita è una lunga lotta, spesso non fatta di buone maniere…
Ciao, anch’io penso che a volte sia una necessità. E a proposito di donne lavoratrici ad alti livelli, su sporablog ci sono dei post con un punto di vista interessante. Il succo è di non fare l’uomo, ma enfatizzare le qualità femminili
Allora me lo vado a leggere questo blog.
Grazie dello stimolo… ciao