Unità di misura

  E’ un po’ surreale trascorrere le tue giornate in spiaggia, soprattutto se sei a luglio e se il mondo che ti ha circondato fino a pochi giorni fa, quello in cui ancora ti viene automatico proiettarti, non pare aver rallentato neppure minimamente.

I miei amici mi direbbero che è normale per chi è “nelle mie condizioni”, lasciando pericolosamente troppo vago il riferimento alla mia gravidanza oppure a qualcosa che mi caratterizza in modo più permanente.

So benissimo che stare qui a raccontarvi di un mese da passare al mare, di questi tempi, è un grandissimo privilegio  e non me ne dimentico assolutamente nello scriverne.

E’ solo che quando mi ci proiettavo da lontano immaginavo di trovare uno scenario leggermente diverso: spiagge ancora sonnacchiose, pensionati girovaghi sul bagnasciuga in canottiera bianca un po’ slabrata, chioschetti in allestimento, ombrelloni in rimessaggio e gelati ancora della passata stagione. O addirittura peggio: solo gelati Sammontana.

E invece… in questa località di mezza Italia pensionati sono pochi, il rimessaggio è già concluso e ci sono molte, troppe persone normali attorno a me, troppe persone che mi avrebbero somigliato, ma non “nelle mie condizioni”.

Direi che c’è da pensare.

Risale ormai ad un po’ di tempo fa uno stupore del genere, quando, a New York, in una settimana lavorativa qualunque, mi imbattevo per strada, nei caffè, nei parchi o più semplicemente in giro, in centinaia di persone palesemente normali, se non addirittura di tendenza, che trascorrevano le proprie giornate con amici, cani, computer, libri, taccuini o cuffie.

Ma com’era possibile?

E anche qui spiagge, supermercati, chioschetti e bagnini lavorano a pieno carico. Gli ombrelloni vanno prenotati con anticipo e prima di cena si rischia di rimanere paralizzati nella rush hour locale. Addirittura vi dico che di gelati Sammontana non se ne vedono.

Ma com’è possibile?

Non l’ho ancora capito. So solo che gli unici per cui il tutto è assolutamente normale sono i miei figli, che sguazzano in un brodo troppo zuccheroso perfino per le giuggiole.

La piccola dissennatrice oramai si sperimenta nell’utilizzo delle sue personalissime unità di misura.

“Mammina, ho un’idea: cosa ne dici se anche domani non vai a laboro? Se vuoi al laboro poi ti ci porto io.”

“Dico che è una buona idea Bianca, perchè siamo in vacanza.”

“Ah. E non devi tornare al laboro?”

“No”

“Neanche un pochino?”

“No, amore, neanche un pochino.”

“Ah. E neanche tre?”

16 risposte a "Unità di misura"

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  1. Io adoravo il barattolino sammontana.
    sono vecchia dentro.
    Però adesso non lo compro per ragioni ideologiche.
    I tizi che ridacchiano al bar davanti a sontuose colazioni che tendono al brunch, in giorni lavorativi, in città, e magari si vede che stanno anche lavorando, cioè, sono li liberi da orari ma non è che sono in ferie o sono universitari…li odio.
    Non è che sei nella mezza Italia sud orientale all’altezza tipo di due cittadine che finiscono per -eta e -longa? 🙂
    Che Bibi ti chieda di poterti accompagnare al laboro, per neanche 3 pochini, mi pare chiaro…ha già mire indipendentiste! 🙂

    1. Solo per dirti: sei vecchia anche fuori. Quali sono le ragioni ideologiche? C’è qualcosa che non avevo mai considerato, oltre al gusto del vorrei-ma-non-posso?-
      Esatto. I tizi che ridacchiano e che lavorano. Proprio loro. Ma come fanno?? Avviciniamoli, parliamoci, magari quello che ti seguì in auto illo tempore era uno di loro e te lo sei perso…
      Stolta.

  2. Benvenuta al mondo, quartopiano. Quello che dici tu era il mare di noi da bambine, quando mangiavamo il pistacchio sammontana che era così verde che forse lo hanno messo fuorilegge.

  3. Nei miei lunghi mesi al mare con mamma e nonni un gelato dominava sui miei desideri, frutto della mia ambizione a voler mangiare le cose dei grandi: il Magnum al caffè. Aspettavo di diventare grande per poterlo mangiare come la mia mamma. Quando sono diventata grande l’hanno tolto dal commercio. Vita grama.

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