Neanche per ischerzo…

nonna
A sorpresa, una sera, un palloncino nel palazzo di Raimondo…

Grazie a lei, io sono diventata un sacco di cose. E il bello è che non ne parlo quasi mai.

Mia nonna mi faceva il presepe nel suo camino, inginocchiata. Mi raffreddava il riso al pomodoro facendo “Il lupo e le pecorelle”. Quando si schiariva la voce dopo il suo riposino pomeridiano e prima della sigaretta, lo faceva facendo il mio nome. Impastava gli gnocchi sul tavolo di marmo bianco in cucina e una volta mi sgridò come mai aveva fatto quando chiamai mia madre per nome e non “mamma”. Sembrava sempre allegra, rideva sempre con una risata roca, ma allegra non lo era affatto. Una volta che una sera corsi in cucina e, per caso, le chiesi: “Nonna, cos’è la vita?” quella volta mi rispose “Molti pensano che la vita sia solo una condanna a morte”. Da allora non le parlai più di queste cose.

Si bagnava un dito e mi puliva la bocca quando era sporca di qualcosa, si commuoveva ascoltando la musica, mi faceva fare i compiti. Era lei che mi diceva che dovevo avere la biancheria sempre in ordine, perchè metti che avessi avuto un incidente per strada e fossi stata portata in ospedale… sai che figura. Ed era lei che mi diceva che i piedi sono importanti, perchè i mariti non vogliono sentire sotto le coperte piedi troppo ruvidi, altrimenti ti lasciano. Di non aggrottare la fronte perchè mi sarebbero rimaste le rughe. Di mangiare di più, sempre, comunque, a prescindere, qualsiasi cosa mi avesse visto mangiare: doveva essere sempre un po’ di più.

I racconti della guerra, come si nascondevano i suoi cugini nel piede cavo del tavolo da pranzo. I tedeschi (quanto erano belli), gli americani (quanto ci provavano) e le loro tavolette di cioccolato, che lei chiamava cioccolatta. La mano che aveva visto uscire dalle macerie nel palazzo crollato proprio accanto al suo. Il rumore dell’allarme antiaereo quando si attaccava.

Aveva una sua visione su tutto, non le piacevano i tempi che si ammodernavano troppo, non le piaceva che uscissi con i ragazzi. Pensava che la persona più geniale del mondo fosse quello che aveva inventato il telecomando: “Ma tu ti rendi conto quanta tecnologia in questo apparecchio?”, lo ripeteva continuamente.

In luna di miele era stata a Venezia, il nonno la tradiva regolarmente, per anni, con una compagna fissa che amava (molto) di più, ma lei non aveva mai neppure pensato di puntare i piedi o mettere tutto in discussione. Era stata insegnante delle scuole medie, i suoi alunni per ringraziarla nell’intervallo le portavano panini con la mortadella e questa cosa la faceva sentire una regina. Aveva un rosario e lo sgranava. Fino all’ultimo, dormiva con una foto della propria mamma sul comodino. Amava Derrik e Fabrizio Frizzi. Io le dicevo che somigliava a Gino Bramieri, e secondo me era vero.

Aveva un modo di parlare tutto suo, che mi ha trasferito come vulgata corrente, cosa che mi ha comportato mille prese in giro: “Guarda che bella quella giovine“, “Attenta che quella Lambretta non ti ha visto (riferendosi così a qualsiasi mezzo non fosse un’automobile)!” “Mi prendi il latte dal frigidaire?”, “Per merenda lo vuoi un uovo a filoscino?”.

Ma i suoi pezzi forti erano le I, inserite ovunque fosse possibile, per aggrazziare il suono: Ispagna, ischerzo, iscritto, istudio, isport, Isvizzera.

Pensate quanto si sarebbe sentita a proprio agio in un’epoca di “I-mail, I-commerce, I-learning”.

Peccato, poteva rimanere un po’ di più.

20 risposte a "Neanche per ischerzo…"

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  1. quanta dolcezza, e soprattutto quante cose ritrovo. dalla biancheria (“che non si sa mai”) al sapere ma non voler vedere (“per i figli”?), al telecomando… in realtà molte di queste paro paro nei miei genitori (che hanno comunque una certa età, quasi più da nonni per la verità).

    1. allora, quando il riso è caldo, tu con la forchetta separi il riso verso la parte esterna del piatto e lasci al centro del riso tutto insieme. Inizi a mangiare la parte esterna (che son le pecorelle, più fredde) che scappano per scappare dal lupo si nascondono nella tua pancia.

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